di Cosimo Antonio Strusi
Il 13 ottobre scorso, a Biškek, si è tenuto un vertice tra i presidenti di Kirghizistan e Tagikistan, durante il quale è stata affrontata l'irrisolta questione della linea di confine tra le due repubbliche.
L'incontro bilaterale si pone sulla scia di lunghe e complesse trattative, iniziate dopo i violenti scontri del settembre 2022, quando le forze di sicurezza dei due stati dell'Asia Centrale si sono affrontate nelle aree contese, provocando centinaia di vittime, anche tra civili.
I colloqui, al fine di raggiungere un'intesa definitiva sulla linea di demarcazione tra i due paesi, sono proseguiti tra alti e bassi e non sono mancati momenti di tensione, minacce e accuse reciproche tra le due delegazioni.
Nel corso dell'ultimo mese, tuttavia, sono arrivati i primi segnali di svolta: il 2 ottobre scorso, i capi dei servizi di sicurezza dei due paesi hanno annunciato la sottoscrizione di un protocollo che dovrebbe guidare le parti durante le trattative future.
L'incontro di Biskek sembra porsi in continuità con questo nuovo clima di collaborazione, almeno stando ai comunicati ufficiali di entrambe le presidenze, i quali hanno sottolineato, seppur con toni diversi, i passi avanti per una risoluzione della questione.
Una controversia lunga trent'anni
La disputa di confine tra Kirghizistan e Tagikistan affonda le sue radici in epoca sovietica, periodo in cui i confini amministrativi delle repubbliche centrasiatiche furono modificati più volte, spesso senza considerare le diverse nazionalità presenti della regione.
Negli anni seguenti alla dissoluzione dell'Urss, i governi di Biskek e Dushanbe avviarono le prime trattative per determinare i rispettivi territori. I risultati raggiunti in trent'anni, tuttavia, appaiono modesti, considerando che, ancora nel 2021, le parti avevano raggiunto un accordo solo su 503 dei 970 chilometri del confine.
I fattori che hanno ostacolato il buon andamento dei colloqui bilaterali sono molteplici, a partire dalle peculiarità geografico-amministrative della regione, come la presenza, in Kirghizistan di due enclave tagike, Kayragach e Vorukh.
L'intreccio tra elementi geografici, dinamiche economiche e tendenze demografiche ha contribuito ad alimentare la conflittualità tra le comunità di confine, convolte in oltre 150 incidenti in circa un decennio.
Una delle principali cause d'attrito riguarda l'utilizzo, a fini di pascolo, dei territori contesi. La forte crescita demografica che ha interessato i due stati ha prodotto un aumento della domanda di beni alimentari e di conseguenza ha incentivato l'allevamento di bestiame. La maggior disponibilità di terre per il pascolo in territorio kirghiso spinge gli allevatori tagiki a oltrepassare i confini, suscitando l'irritazione delle popolazioni locali. Il governo di Biskek, in risposta, ha varato una legge che impedisce agli stranieri l'utilizzo dei pascoli interni, mentre Dushanbe ne rivendica l'utilizzo appellandosi a diritti risalenti al periodo sovietico.
Ciò che però maggiormente ha contribuito a innescare le violenze degli ultimi anni è la contesa sullo sfruttamento delle risorse idriche di confine; la questione assume grande rilievo perché legata alle attività agricole e allo sviluppo del settore idroelettrico, fondamentale per le economie di entrambi gli stati.
Alla radice della maggior parte degli incidenti vi sono i circa 40 canali che le due repubbliche condividono, alcuni dei quali nascono in Kirghizistan per sfociare in Tagikistan, mentre altri fanno il percorso opposto; in questo contesto gli agricoltori dei due paesi si accusano reciprocamente di appropriarsi della maggior parte dell'acqua destinata all'irrigazione.
Ad aggravare le tensioni contribuisce anche il cattivo stato delle infrastrutture idriche transfrontaliere e, di conseguenza, la dispersione di grandi quantità di acqua.
Le violenze del 2021 e 2022
Negli ultimi anni la situazione è andata peggiorando e i confini sono stati teatro di veri e propri scontri armati, esplosi principalmente nella regione kirghisa di Batken, e nei pressi dell'enclave tagika di Vorukh.
Nella primavera del 2021, la decisione delle autorità di Dushanbe di installare un sistema di sorveglianza presso un centro di distribuzione dell'acqua in zona contesa ha acceso le ostilità tra le popolazioni locali, e, in un secondo momento, tra il personale di sicurezza dei due paesi; il bilancio finale delle violenze è stato di 36 vittime tra i kirghisi e 19 tra i tagiki.
Di ben altra portata sono stati i drammatici avvenimenti del settembre 2022, caratterizzati da una vera a propria escalation militare con utilizzo di armi pesanti e attacchi alle infrastrutture civili. Negli scontri hanno perso la vita oltre 100 e, circa 130.000 civili hanno dovuto abbandonare le proprie case.
Il conflitto ha provocato la chiusura dei valichi di frontiera e ha fatto emergere la necessità di riaprire i negoziati sulla demarcazione dei confini.
Secondo alcuni osservatori, a rendere più sanguinosi gli scontri degli ultimi anni ha contribuito la maggior preparazione delle forze armate dei due paesi, dovuta principalmente alla maggior diponibilità di armi e all'addestramento ricevuto da parte di attori esterni.
In particolare, il Kirghizistan ha ricevuto dalla Turchia un numero imprecisato di droni e dalla Bielorussia sistemi missilistici terra-aria; il Tagikistan, invece, ha potuto avvalersi, di forniture belliche e addestramento da parte degli Stati Uniti, con il quale ha anche effettuato manovre congiunte allo scopo di affrontare le minacce provenienti dal vicino Afghanistan.
Un secondo elemento da considerare, per comprendere la violenza esplosa nel 2022 è l'assenza di un grande mediatore esterno. Storicamente, il ruolo di garante della stabilità della regione è stato svolto dalla Russia. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, l'impegno di Mosca a fungere da arbitro nei rapporti tra i paesi del suo Estero Vicino è venuto meno.
Le conseguenze di un possibile accordo
L'andamento positivo dei recenti colloqui va accolto con cautela, tuttavia, entrambe i governi sembrano interessati a mantenere un clima distensivo, nella consapevolezza che nessuno trarrebbe giovamento dal riaccendersi delle ostilità.
La demarcazione delle zone di confine ancora contese potrebbe tradursi in un decisivo miglioramento delle relazioni tra Kirghizistan e Tagikistan, con conseguente rafforzamento della cooperazione economica e in materia di sicurezza.
Gli effetti di un disgelo tra le due repubbliche, tuttavia, potrebbero coinvolgere l'intero contesto geopolitico regionale, a partire dalla Russia, per la quale, la fine delle ostilità significherebbe una maggior compattezza della sua sfera d'influenza.
In secondo luogo, a trarne vantaggio potrebbe essere la Cina: l'area centrasiatica da sempre ha ricoperto una posizione privilegiata nei progetti geoeconomici di Pechino, non solo per le sue potenzialità di hub energetico, ma anche per la sua posizione strategica tra Europa e Oriente.
A seguito dello scoppio della guerra in Ucraina, il ruolo dell'Asia Centrale come zona di transito del continente eurasiatico ha assunto nuova importanza; la necessità di trovare rotte commerciali alternative al territorio russo ha dato nuova linfa a vecchi progetti, come la linea ferroviaria Cina-Kirghizistan-Uzbekistan, la cui effettiva realizzazione potrebbe essere agevolata dal superamento delle controversie tra i paesi coinvolti.