Il Pakistan sull'impervia strada verso le elezioni

16.11.2023

di Simone Frusciante


I cittadini pakistani sono finalmente a conoscenza del giorno in cui sarà permesso loro di recarsi alle urne per esprimere un voto che potrebbe rivelarsi determinante per il futuro della nazione, il quale è al momento fortemente in bilico. Come riferito dalla Commissione elettorale (CE) alla Corte suprema, la data indicata per le elezioni generali è quella dell'11 febbraio 2024, a sei mesi dallo scioglimento del Parlamento.

In realtà, la Costituzione del paese sancisce che le elezioni debbano tenersi entro i 90 giorni successivi all'eventuale scioglimento prematuro del Parlamento. Di conseguenza, poiché esso è stato dissolto il 10 agosto, ovvero due giorni prima della scadenza naturale della legislatura, le elezioni avrebbero dovuto svolgersi non oltre la prima decade del mese di novembre.

Tuttavia, la CE ha reso noto che il voto avrebbe dovuto essere basato su dei nuovi collegi elettorali, ricalcolati secondo i risultati del nuovo censimento nazionale, approvati a agosto. Le elezioni, quindi, sono state rinviate in attesa del completamento di suddetto processo, che dovrebbe avvenire entro la fine di gennaio.

In seguito allo scioglimento del Parlamento, com'è consuetudine, il Primo Ministro Shehbaz Sharif ha rassegnato le dimissioni al fine di permettere la formazione di un governo ad interim deputato a presiedere sia la fase preelettorale che il voto. Il successore di Sharif, Anwaar-ul-Haq Kakar, rimarrà in carica fino all'insediamento del prossimo governo determinato dall'esito del voto.

Il periodo che precede le elezioni è notoriamente delicato per qualsiasi paese; ciò è quantomai vero per il Pakistan, che si trova ad affrontare una situazione critica sotto diversi aspetti: incertezza politica, instabilità economica ed emergenza securitaria. Tale situazione non rappresenta in realtà una novità, poiché essa si prolunga da oltre un anno, avendo subìto un notevole peggioramento dall'aprile 2022, quando l'allora Primo ministro Imran Khan fu destituito.

Khan, leader del principale partito di opposizione nel paese, il Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI), è in carcere dallo scorso mese di agosto, quando fu arrestato in relazione ad un caso di corruzione, secondo cui egli sarebbe reo della vendita illecita di doni di Stato. Malgrado la sospensione della sentenza, Khan continua tuttora a essere detenuto per un'altra accusa, quella di aver divulgato il contenuto di comunicazioni diplomatiche segrete avvenute tra Washington e Islamabad, prova, secondo lui, del coinvolgimento statunitense nella sua destituzione, orchestrata con l'esercito pakistano.

In un recente messaggio rilasciato dalla prigione, Khan ha ribadito la sua completa estraneità a ogni accusa, oltre a sostenere che le incriminazioni contro di lui siano politicamente motivate e tese ad impedirgli di partecipare alle prossime elezioni. Allo stesso tempo, sebbene il PTI sia stato oggetto negli ultimi mesi di una forte repressione governativa, che ha provocato l'abbandono di numerosi membri del partito, esso non sembra aver perso il sostegno popolare.

È notizia delle ultime settimane anche il ritorno in Pakistan dell'ex premier Nawaz Sharif, fratello di Shehbaz, da Londra, dove si era recato grazie ad un permesso temporaneo per motivi medici poi trasformatosi in un esilio autoimposto di 4 anni. Nel 2017 Sharif fu destituito dalla Corte Suprema per corruzione e l'anno successivo venne condannato a 10 anni di detenzione. La sospensione della condanna nei suoi confronti, contestualmente al suo rientro, potrebbe consentirgli di concorrere alle prossime elezioni.

Secondo il PTI, suddetta circostanza, insieme all'arresto di Khan, costituirebbe la chiara evidenza di un accordo esistente tra l'esercito pakistano e il partito di Nawaz Sharif, la Pakistan Muslim League (PML-N), che pure sono stati lungamente acerrimi rivali in passato, per reinsediare quest'ultimo al potere ed estromettere definitivamente Imran Khan.

Il Pakistan vive altresì un momento di intensa turbolenza economica, che rischia di peggiorare per il persistente stallo politico. Durante lo scorso mese di luglio, il governo di Shehbaz Sharif ha raggiuto un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per la concessione di un prestito di 3 miliardi di dollari teso a evitare un default. Ciò richiederà, tuttavia, l'adozione di misure di austerità da parte di Islamabad, inclusi ingenti tagli alla spesa pubblica e un possibile aumento delle tasse.

Ciononostante, si registrano timidi segnali di ripresa: il FMI ha previsto, stanti le attuali condizioni, che il PIL pakistano crescerà del 2,5% nel 2023, al di sotto delle stime governative del 3,5%, ma senz'altro un salto in avanti rispetto alla contrazione dello 0,5% del 2022, aggravata dai catastrofici monsoni che hanno colpito il paese e facente seguito alle contrazioni ancora più marcate segnate negli anni precedenti a causa della pandemia.

Le previsioni, poi, risultano ancor più incoraggianti per il prossimo anno, quando la crescita potrebbe attestarsi al 5%. Al contempo, preoccupano i dati sull'inflazione, che quest'anno raggiungerà quasi il 30%, anche in conseguenza della forte svalutazione della rupia rispetto al dollaro, la quale, nonostante abbia subìto un rallentamento dall'insediamento del governo ad interim, non accenna ad arrestarsi. Infine, va segnalato un aumento del tasso di disoccupazione, all'8,5% dal 6,2% del 2022 e ben al di sopra delle precedenti stime al 7%.

In aggiunta al delicato contesto politico ed economico pakistano, va considerata anche la complicata situazione relativa alla sicurezza nel paese. Protagonista, in questo senso, risulta essere il TTP, gruppo altrimenti noto come "i Talebani pakistani", che ispirandosi ai Talebani al potere in Afghanistan, ha l'obiettivo di imporre la sua rigida interpretazione della sharia in Pakistan. Dalla rottura del cessate il fuoco con il governo di Islamabad lo scorso anno, il TTP ha compiuto centinaia di attacchi contro stazioni di polizia, basi militari, moschee e altri luoghi pubblici.

Il Pakistan accusa i Talebani afghani di dare rifugio ai miliziani del TTP, consentendogli di condurre attacchi sul suolo pakistano; accuse, queste, che i Talebani smentiscono. Sulle relazioni bilaterali pesa anche la recente decisione di Islamabad di deportare gli oltre 1,5 milioni di rifugiati afghani senza documenti residenti sul proprio territorio, motivata con l'asserzione che oltre la metà degli attacchi verificatisi quest'anno sono stati compiuti da afghani.

Considerando quanto detto finora, all'orizzonte si profilano seri rischi per lo svolgimento di elezioni libere, eque e democratiche. Inoltre, si teme che la tenuta sociale del paese, invero già fortemente incrinata da polarizzazione politica, difficoltà economiche e rischi per la sicurezza, possa corrodersi in modo irrimediabile, con delle ricadute disastrose e conseguenze imprevedibili in un paese che ha ripetutamente sperimentato vere esplosioni di violenza.

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