Il diritto del mare "Made in China"

16.11.2023

di Lisa Sottanelli

L'avvicinamento del gigante terrestre cinese al potere marittimo è stato il frutto di un complesso processo di ammodernamento che durante gli anni ha faticato ad affermarsi. Le motivazioni del tardivo sviluppo del sea power cinese vanno rintracciate in due assunti essenziali: in primo luogo il popolo cinese è sempre stato abituato a dover fronteggiare sfide terrestri, motivo per cui il potenziamento marittimo è stato particolarmente accantonato; in secondo luogo, per diversi secoli, l'attività marittima cinese è stata esercitata principalmente a scopi difensivi, limitando di fatto l'espansione delle abilità dello Stato anche sul mare. La creazione di una prima marina cinese stabile è riconducibile al periodo della dinastia Song, e precisamente all'anno 1123. Solo negli anni Ottanta, grazie ai nuovi orizzonti marittimi offerti da Liu Huaqing, il Paese è riuscito ad identificare un nuova sfera di investimento strategico per la marina.

Le motivazioni che si celano dietro l'apertura del gigante terrestre al mare si possono riassumere in tre fattori in particolare: in primo luogo lo spostamento delle dinamiche internazionali dalla terra al mare ha certamente contribuito a suscitare insicurezza, soprattutto in un Paese in cui gli investimenti militari e difensivi vertevano prettamente sulle milizie terrestri.

In secondo luogo l'ottimizzazione del settore marittimo è stato direttamente proporzionale ad un interesse commerciale sempre più marcato verso l'estero; infine, le innumerevoli complessità che hanno attraversato, e che attraversano ancora oggi, il Mar Meridionale si delineano indiscutibilmente come un incentivo nel controllo e nella difesa degli interessi nazionali cinesi in quelle zone. Già nel 1947, con la pubblicazione della "linea degli undici punti", la Cina aveva dimostrato di avere ben delineati gli obiettivi e le rivendicazioni che avrebbero guidato da lì in poi il timone strategico di Pechino.

La linea degli undici punti abbraccia la totalità dei gruppi di isole del Mare Meridionale Cinese (Pratas, Paracelso, Spratly e Macclesfield Bank) così come le acque a esse circostanti. Il suddetto schema, che poi diventerà la "linea dei nove punti", non si è designato come un esercizio puramente teorico, piuttosto come lo sviluppo di un piano di rivendicazioni che la Cina continua a portare avanti anche nel contesto odierno. Inoltre, la situazione di instabilità che dagli anni cinquanta ha avvolto le fila relazionali tra Pechino e Taiwan si è gradualmente approfondita, sino a diventare la sfida prioritaria dell'apparato governativo cinese. La crisi con l'isola ha comportato l'adozione del nuovo modello strategico della «difesa attiva in altura»: concentrarsi e difendere le aree considerate di sovranità territoriale.

È indubbio che i diritti storici reclamati dalla Cina in quelle precise zone dovessero inevitabilmente scontrarsi tanto con la presenza degli altri attori internazionali che si affacciano sull'area quanto con l'evoluzione del diritto internazionale, in particolare con la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare del 1982 (UNCLOS).

L'appena citata Convenzione stabilisce "il diritto per ogni stato costiero al controllo di 12 miglia di acque territoriali e allo sfruttamento delle risorse all'interno delle 200 miglia marittime che definiscono le Zone Economiche Esclusive. Le acque oltre questo limite sono da considerarsi acque internazionali, quindi non sottoposte alla sovranità di alcuno stato". Nel 2016 la Corte dell'Aia ha tentato di fare chiarezza sulla questione dichiarando illegittime le rivendicazioni cinesi sulla regione e sulle isole più in particolare. Dinanzi alla sentenza del tribunale internazionale Pechino ha risposto rafforzando ancora di più la sua marina militare.

La complessità della situazione è aumentata in seguito alla costruzione di isole artificiali. Dal 2013 al 2015 la Cina ha costruito isole artificiali per una superficie totale di quasi 3.000 acri su sette barriere coralline nelle isole Spratly. Alla costruzione delle suddette è seguita la loro militarizzazione sotto forma di stazioni per le comunicazioni. Ciò che si evince dalla ricostruzione delle dinamiche marittime appena prodotta è che il Paese più volte ha sviluppato una propria interpretazione, disciplina e pratica del diritto del mare.

Conclusione

Seppur per Pechino sia stato complesso individuare una strategia funzionale alle sue capacità e risorse, ad oggi la Marina Cinese risulta essere la più grande al mondo in termini di mezzi disponibili. In un'epoca di globalizzazione e continue evoluzioni economiche, politiche e sociali, il valore del potere marittimo aumenterà nella stessa misura in cui si amplierà il commercio globale e l'ammodernamento dei mezzi di trasporto che lo riguarderanno.

La regolamentazione del diritto del mare tramite la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare del 1982 (UNCLOS) fissa delle regole che disciplinano il controllo dei mari e degli oceani. Il fatto che la Cina attualmente stia sfidando la legittimità di tali regolamenti rappresenta un caso peculiare. La reinterpretazione del diritto del mare "Made in China" rappresenta un panorama inedito da indagare considerando, come fattore primario, le alterazioni rispetto alle dinamiche geopolitiche e relazionali della regione.

È necessario asserire che le rivendicazioni cinesi nel Mare Meridionale e le conseguenti instabilità che ne derivano non devono essere sottovalutate. La presenza degli Stati Uniti sul territorio, la pressione dei Paesi coinvolti e la vicinanza con Mosca sono fattori che oltre ad inasprire le instabilità già esistenti, ne intensificano anche i risvolti a livello internazionale. 

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